Regioni prefrontali nella lettura e nella matematica

 

 

GIOVANNI ROSSI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XVII – 15 febbraio 2020.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Aree corticali appartenenti alla corteccia prefrontale e al solco parietale sono state fra le prime formazioni cerebrali ad essere associate ai processi cognitivi impiegati nelle abilità matematiche; così come altre aree cerebrali, individuate mediante gli studi di localizzazione neuroanatomica della neuropsicologia classica, sono state associate alle abilità di lettura. Se decenni di indagini condotte mediante neuroimaging funzionale in vivo sembrano aver prodotto progressi molto limitati nella conoscenza delle basi cerebrali di queste facoltà, lo si deve soprattutto – secondo la nostra scuola neuroscientifica – ad un errore concettuale di impostazione degli studi e, conseguentemente, di interpretazione dei dati. Cercare la “sede della matematica nel cervello” è un’ingenuità che ricalca l’errore degli antichi frenologi, i quali supponevano che le attività superiori del cervello fossero distinte secondo i criteri culturali del tempo e che ciascuna categoria culturale fosse localizzata in uno specifico e circoscritto territorio della corteccia cerebrale.

È vero che a ciascuna attività cerebrale deve corrispondere una topografia di aree e strutture attive, ma è pur vero che per comprendere il significato dei quadri di attività correlati ad un compito sperimentale è necessario declinare quel compito secondo i criteri della fisiologia cerebrale, e cercare di individuare la logica dell’evoluzione per la sua ripartizione in sotto-processi.

Decifrare la logica dell’evoluzione sembra un compito davvero arduo, se si pensa ad esempio che sistemi neuronici che fanno capo a strutture dell’archiencefalo, come l’amigdala, non si limitano a mediare le componenti emozionali delle esperienze ma prendono parte a processi cognitivi di discriminazione basati sul giudizio percettivo di immagini, si comprende quanto sia ancora lontano l’obiettivo di decodificare l’anatomia cerebrale in termini di fisiologia.

Le immagini, ottenute mediante fMRI (functional magnetic resonance imaging) dei processi cognitivi, ci pongono costantemente di fronte ad attività di reti interconnesse, spesso distinte fra loro per la presenza o l’assenza di particolari aree che rappresentano altrettante maglie delle reti. Con ogni probabilità, i diversi contenuti cognitivi elaborati durante l’attività sono espressi dal particolare tipo di interazione fra gruppi neuronici specializzati in sotto-processi diversi. In altre parole, è possibile che quadri di attivazione fMRI simili o identici possano essere correlati a contenuti psichici differenti. Tuttavia, l’affinamento delle tecniche di studio applicate alle metodiche di neuroimmagine consente di ottenere molte informazioni significative e, se si tiene conto che, con la base teorica e tecnica attuale non si dispone di strumenti per osservare oggetti psichici – così come con il microscopio si osserva il mondo cellulare – ma che lo studio delle immagini deve contribuire alla ridefinizione degli “oggetti esplorabili”, allora dalle nuove indagini si possono trarre elementi preziosi.

L’approdo più recente degli studi di correlazione morfo-funzionale tende ad impiegare una concettualizzazione delle attività mentali nei termini di processi misurabili e definibili in rapporto a standard ottenuti con la stessa metodica, come noi auspicavamo già quindici anni fa.

Kai Wang e colleghi, seguendo questo criterio, hanno indagato le basi dei processi esecutivi necessari per i compiti di matematica e lettura, acquisendo un nuovo elemento di correlazione anatomica, che appare in contrasto con quanto indicato da studi precedenti.

(Wang K., et al. Left Posterior Prefrontal Regions Support Domain–General Executive Processes Needed for Both Reading and Math. Journal of Neuropsychology – Epub ahead of print doi: 10.1111/jnp.12201, 2020).

La provenienza degli autori è la seguente: Center for Neural Science and Department of Psychology, New York University, NY (USA); School of Psychology, South China Normal University, Guangzhou, Guangdong (Cina); Institute of Cognitive Science, Department of Psychology and Neuroscience, Institute for Behavioral Genetics, University of Colorado Boulder, Boulder, Colorado (USA); Peabody College of Education and Human Development, Vanderbilt University, Nashville, Tennessee (USA); School of Education, University of Delaware, Newark, Delaware (USA).

Circa quindici anni fa, preoccupati per la tendenza di molti autori di studi condotti mediante fMRI a considerare un’area attiva durante un compito quale sede di quel compito, proponemmo una riflessione critica, richiamando alla mente l’origine in una tesi di inizio Ottocento di quell’insieme di suggestioni e intuizioni che diedero luogo a congetture localizzatrici, poi collettivamente raccolte sotto il termine di localizzazionismo. Tutto ebbe inizio nel 1825 quando Franz Joseph Gall, celebre medico anatomista, diede alle stampe la teoria che postulava per la prima volta l’esistenza di organi mentali, secondo una concezione che chiamò Organologia, fino a quando fu ribattezzata Frenologia da Joahn Kasper Spurzheim. Nel nostro articolo era così caratterizzata:

“L’Organologia di Gall postulava la ripartizione del cervello in un grande numero di regioni, corrispondenti a veri e propri organi mentali indipendenti fra loro e presenti fin dalla nascita. Ciascun organo rappresentava la sede di quelle che la cultura del tempo riconosceva come tendenze, istinti e facoltà, quali l’istinto di riproduzione, l’amore per la propria progenie, il senso del linguaggio, la memoria per cose e fatti, la memoria per le persone, il gusto per le risse e i combattimenti, e così via. In tutto, ventisette nella prima versione e trentacinque nella seconda”[1]. Alcune localizzazioni erano state dedotte con metodo anatomo-clinico – ossia la sede di una lesione studiata in autopsia veniva rapportata a un deficit funzionale descritto in precedenza come sintomo nello stesso paziente – altre ci appaiono del tutto gratuite. L’entusiasmo con cui questa visione delle basi cerebrali della psiche umana fu accolta negli ambienti accademici di mezza Europa, può in parte essere spiegato dal conflitto in atto fra le tesi materialistiche, sostenute da molti scienziati, e le tesi spiritualiste, ancora dominanti, e resistenti all’idea che le facoltà psichiche potessero essere localizzate in un organo, come le funzioni del fegato, del rene o del pancreas. In proposito si osservava:

“All’epoca, quel lavoro, sia perché enunciava in una forma sistematica una visione materialistica della mente, sia per il prestigio di cui godeva l’autore, esercitò una profonda influenza su molti eminenti neurofisiologi, fra cui Paul Broca che per primo descrisse l’afasia motoria e John Hughlings Jackson, noto per aver descritto la propagazione di contrazioni motorie in una forma circoscritta di epilessia, secondo una precisa progressione che ancora oggi prende il nome di marcia jacksoniana[2]. E più avanti: “Oggi ci fa sorridere l’ingenuità dei pionieri della neurologia, ma corriamo il rischio di ripetere gli stessi errori concettuali, sostituendo a «tendenze, istinti e facoltà» dei concetti che descrivono le attività mentali secondo la psicologia o la neurofisiologia e agli organi mentali le aree cerebrali che sembrano attive nel corso delle prove strumentali”[3].

Al termine di quell’articolo, si sottolineava che la priorità non consiste nel trovare sedi delle funzioni definite secondo criteri intuitivi, empirici o psicologici, ma nel cercare di comprendere in cosa consista una funzione in termini di anatomia e fisiologia cerebrale; e poi si conclude: “Solo dopo aver definito un quadro ipotetico scientificamente plausibile del correlato morfo-funzionale di ciò che cerchiamo di studiare, potrà acquisire valore determinarne la localizzazione”[4].

Dopo quindici anni, un significativo passo in avanti è stato compiuto identificando, ad esempio, i processi esecutivi (EP, da executive processes) con le basi morfo-funzionali di una parte importante delle attività cerebrali sottostanti l’esecuzione di compiti matematici e di lettura. Fino ad oggi si sono acquisiti pochissimi dati su quale segmento del sistema neuronico sottostante le abilità esecutive di dominio generale agisce a supporto delle abilità matematiche e di lettura.

Kai Wang e colleghi hanno realizzato un progetto e posto in essere un lavoro di ricerca finalizzato a scoprire l’identità di tale segmento, usando la fMRI attraverso due approcci complementari.

1)      Primo, sono stati acquisiti dati da immagini cerebrali, mentre un campione dei 231 adolescenti eseguiva ciascuno di 3 compiti separati, e sviluppati per stimare, rispettivamente, la comprensione della lettura, la stima della dimensione numerica e la funzione EP nella working memory (WM). Impiegando un accurato disegno sperimentale e analisi congiunte, i ricercatori sono riusciti a isolare i “cross-domini” di attività cerebrale specificamente associati alla funzione EP, ossia ai processi esecutivi concepiti quali attività di alto livello di integrazione, contrapposte a quelle di basso livello e dominio generale, come l’elaborazione visiva.

2)      Secondo, per identificare indipendentemente regioni cerebrali implicate nella lettura, nell’aritmetica e nei processi esecutivi, è stato impiegato lo strumento meta-analitico Neurosynth. Usando una combinazione di tipi di inferenza statistica (forward e reverse) e analisi congiunta, Wang e colleghi sono riusciti, anche in questo caso, a isolare regioni cerebrali specificamente implicate nelle funzioni EP.

Il confronto fra i risultati ottenuti con i due diversi approcci ha evidenziato una sostanziale identità nell’esito: in entrambi i casi, lettura, matematica e EP erano caratterizzati dall’attivazione della corteccia prefrontale ventrolaterale sinistra, della giunzione frontale inferiore sinistra e del giro precentrale.

Questo schema di attivazione, a differenza di quanto rilevato in alcuni altri studi, suggerisce che le regioni posteriori della corteccia prefrontale, invece di quelle più centrali, quali la porzione media della corteccia prefrontale dorso-laterale, svolgono il ruolo principale nel supportare i processi esecutivi (EP) utilizzati tanto nella lettura quanto nella matematica.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di studi di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanni Rossi

BM&L-15 febbraio 2020

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] Note e Notizie 27-05-05 Una nuova frenologia con la risonanza magnetica funzionale?

[2] Note e Notizie 27-05-05 Una nuova frenologia con la risonanza magnetica funzionale?

[3] Note e Notizie 27-05-05 Una nuova frenologia con la risonanza magnetica funzionale?

[4] Note e Notizie 27-05-05 Una nuova frenologia con la risonanza magnetica funzionale?